Negli anni ’90 potevano capitare in casa dei personaggi con delle sacche piene di pezzi di plastica da unire l’uno con l’altro o magari di penne da assemblare. Il concetto di “lavoro da casa” in quegli anni era caratterizzato da un parente che improvvisamente pensava di aver trovato il modo di arrotondare e guadagnare facilmente e terminava con tutta la famiglia intorno ad un tavolo, fino alle ore piccole, per consegnare tutti quei pezzi assemblati e pagati pochissimi centesimi l’uno.

Oggi, quando si accarezza il pensiero di lavorare da casa si parte dal presupposto che l’attività possa liberarci da un lavoro opprimente o che ne possa generare uno remunerativo e veloce che con il minimo impegno ci dia la possibilità di acquistare l’auto dei nostri sogni. I guru del guadagno facile si battono a colpi di materiali didattici, contenuti scaricabili, svelano segreti per un successo che, a parte la classica foto a bordo piscina o sulla lussuosa automobile (noleggiata), non sembrano aver conseguito. Anche perché riflettendoci in modo minimamente intelligente, per quale ragione una persona affermata che guadagna più di centomila euro l’anno dovrebbe venderci un contenuto a pochi euro per svelarci il proprio segreto?

È di questi giorni la notizia diffusa dalle pagine social di una sorta di truffa ai danni di persone che erano convinte di guadagnare postando i propri selfie ed apponendo dei Like. I commenti impietosi sotto il video riportano una società divisa tra giudicanti e giudicati laddove però il pensiero comune rincorre l’utopica via del guadagno senza impegno ed anche tristemente senza gloria. In questa Italia che dovrebbe essere una Repubblica fondata sul lavoro abbiamo una tendenza alla ricerca del guadagno senza l’impegno dovuto, una schiera di lavoratori insoddisfatti che sperano di potersi licenziare perché hanno negli occhi immagini di chi afferma di averlo fatto e di aver ottenuto tutto con il minimo impegno. Una Repubblica che affonda nella politica del gratta e vinci che non solo perde di identità ma anche di competenze. Il primato per l’analfabetismo funzionale l’abbiamo già vinto anche se probabilmente per vincere il Grande Fratello o per fare l’influencer non è necessario leggere e comprendere un testo.
È del 2006 il film Idiocracy diretto da Mike Judge che racconta una visione di un futuro in cui a causa della maggiore prolificità da parte di persone stupide il livello medio di intelligenza scende a tal punto da mettere a rischio l’umanità. Se in quegli anni ci siamo potuti permettere di riderne, riguardando oggi quelle scene a tratti demenziali si riscontra un sapore netto di profezia.

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